Ieri in Senato è stata approvata con 219 voti favorevoli la risoluzione sul supporto dell’Italia a Kiev. Il premier Draghi può andare al Consiglio europeo con il pieno appoggio della sua maggioranza. Nonostante le minacce di crisi di governo e gli screzi interni al M5S, il governo Draghi va avanti per la sua strada.
In uno scenario internazionale non proprio semplice e una crisi generale, da quella energetica a quella economica, una instabilità politica andrebbe solo a peggiorare la situazione sia dell’Italia che dell’Europa. Prima dell’ufficiale strappo tra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte, i contiani hanno premuto per una modifica del testo fino alla fine. In sostanza, la risoluzione approvata rimanda in ogni caso al testo già approvato a marzo nel Decreto Ucraina che includeva l’invio di armi a Kiev fino alla fine di questo anno.
Conte e i suoi si erano impuntati, dietro la facciata di buon pacifisti, sul riferimento al decreto e sull’invio di armi. Pur accettando di riferire con le Camere per ogni sviluppo, il premier non ha voluto veti per l’autonomia di azione in questa situazione particolare che l’Italia sta gestendo insieme agli altri paesi europei per la guerra in Ucraina.
Un compromesso democristiano è stato trovato facendo contenti tutti un po’ di facciata. Le armi non vengono nominate esplicitamente ma il riferimento al decreto di marzo è chiaro: la maggioranza ha tacitamente accettato di proseguire su quella linea, già in precedenza condivisa. Draghi aveva avvisato il Movimento 5 stelle di non far arrivare gli screzi interni al partito sul tavolo dell’esecutivo.
Il premier torna a casa, anzi, va in Europa con una doppia vittoria. Il sì in Senato e la crisi di governo scampata e una maggioranza ancora più forte dopo il Caporetto di Conte. Da questa tragedia l’avvocato esce dimezzato nei numeri dopo la scissione di Di Maio che porta via con sé circa 60 parlamentari. Il governo di Draghi a questo punto è al sicuro, almeno per un po’.
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